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Associazione Culturale VARZI VIVA
L'organizzazione delle bande dei "ribelli"
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1943: la prima formazione di una coscienza politica nella popolazione
L'organizzazione delle bande dei "ribelli"
Le forze avversarie. La maledetta Sicherheit
Oltrepò, vita santa
Primula Rossa
In una circostanza così complessa ed incerta si cominciò a guardare con qualche interesse a
quelle formazioni irregolari che, nate all'indomani dell'8 settembre dall'unione di numerosi
perseguitati politici del regime fuggiti dalle città assieme gli ufficiali ed i soldati del disciolto
esercito, avevano trovato rifugio e scampo nei boschi dei nostri monti.
Queste bande di "ribelli" erano inizialmente indipendenti ed autonome: quasi tutte coltivavano
la grossa speranza, o meglio, l'illusione, che gli Alleati che stavano combattendo nel Sud
sarebbero arrivati in un batter d'occhio anche nel Nord, e tutto sarebbe finito.
Una banda come quella del Greco (così chiamata per la nazionalità del suo capo, Andrea
Spanojannis, che teneva insieme con la forza del suo prestigio, oltre a reduci italiani, anche
russi, greci, sudafricani ed aveva la sua roccaforte a Tana di Pecorara, in quel di Romagnese,
operando nei territori che di lì, attraverso la Val Tidone, vanno fino alla vie Emilia,
importantissima arteria dei collegamenti e vettovagliamenti nazi-fascisti) fu, ad
esempio, sempre fonte di gravi problemi per il movimento della Resistenza nella nostra zona,
a causa dei suoi colpi di mano piuttosto avventurosi e poco ponderati.
La banda del Greco appena ricordata era, naturalmente, un'eccezione - ed eccezioni ve ne
furono, purtoppo, anche di seguito persino fra i componenti delle formazioni che si fecero
molto onore (si ricordi, ad esempio, il massacro di quasi un'intera famiglia di S. Pietro
Casasco ad opera di sedicenti partigiani; massacro, peraltro regolarmente punito da una
sentenza di un tribunale di guerra che ebbe poi l'avallo, in tempo di pace, da un tribunale
regolare) - tra tanta buona volontà e spirito di abnegazione e sacrificio che, pur negli
innegabili limiti della condizione umana e degli errori ad essa connaturati, vanno riconosciuti
anche alle prime formazioni partigiane della nostra comunità.
Tra queste occorre ricordare quella della Primula Rossa (Angelo Ansaldi, un manovale di
Varzi, figura indubbiamente interessante per il suo spirito innato di garibaldinismo e per la
sua coscienza antifascista che si esplicava nell'odio verso i ricchi ed il potere e nello
spirito di premurosa protezione verso le popolazioni rurali più perseguitate ed umiliate dai
fascisti) che operava prevalentemente nel settore di Cella, Monteforte e Varzi e che, per
lungo tempo, avrebbe difeso l'autonomia del suo gruppo e ne avrebbe rifiutato l'inquadratura partitica.
Nella zona bassa della Valle Stàffora, nei dintorni di S. Ponzo, c'era il gruppo "Staffora" di
Alberto Piumati, mentre nella zona di S. Albano e nella Val Ardivesta operava il gruppo di
Tino (Tino Schiavi) ed Elmo (Gregorio Fracchia) e in quella dell'alta Val Tidone, a Pometo
e Ruino, quello di Tiziano Marchesi, detto Tundra.
L'organizzazione e l'inquadramento di queste formazioni partigiane che, come diceva il foglio
comunista "La nostra lotta" dell'ottobre 1943, "sono nate come reazione spontanea del
popolo e della parte migliore dell'esercito", aumentò la loro credibilità, così che esse
diventarono il naturale punto di riferimento per tutti coloro che non se la sentirono di diventare
i soldati della R.S.I. e di combattere per i Tedeschi. Lì vicino, nei boschi intorno ai loro paesi,
c'erano i partigiani: andando con loro si era più liberi, si stava vicino a casa e, ogni tanto, si poteva
anche andare a dormire nel proprio letto, oppure dare un'occhiata alle bestie ed ai campi.
A partire dalla primavera del '44, cioè dal momento in cui le minacce verso coloro che
rifiutarono di arruolarsi si tradussero in triste realizzazione e la famigerata Sicherheit di Voghera
iniziò ad attuare sconvolgenti persecuzioni, la resistenza armata cominciò a presentarsi agli occhi dei
nostri contadini e di tutta la gente, anche della più tranquilla, come l'unica cocreta possibilità
di non lasciarsi portar via i figli e di difendere le proprie case, insieme al bestiame ed ai
raccolti, presi di mira con frequenza sempre crescente dai vandalismi dei repubblichini.
Se si considera il clima di soprusi e di intimidazione creato dai nuovi fascisti, si capisce
anche perché l'iniziale diffidenza verso quelle bande di uomini malvestiti e dalle barbe
incolte, che sembravano vivere come dei briganti, divenne poi favore, simpatia, affetto e non
si negò mai ad un partigiano un letto per riposare, un pasto caldo, una coperta o un paio di
scarpe, benché corressero tempi di miseria e di sofferenza.
"Vennero a portarci via alcuni giovani del paese, approfittando della notte e del tradimento"
- racconta un vecchio di Rossone, con gli occhi lucidi di lacrime -, "li portarono a Varzi e gli
misero addosso i panni della milizia. Poi, quando qualcuno riuscì a scappare, ritornarono a
Rossone. Avevamo appena incascinato il grano e il 'fugòn' non veniva mai a trebbiarlo: lo
avremmo subito macinato per le nostre necessità e il resto l'avremmo venduto perché,
specie quell'anno, il grano era la nostra vita. Ma quelli vennero su di un camion (erano una
quindicina armati fino ai denti, e c'erano anche delle donne), passarono sulla strada principale
dove s'affacciavano quasi tutti i cascinali e vi appiccarono il fuoco: spararono su chi cercava
disperatamente di salvare il suo grano. Io ero sulla collina ad arare coi buoi e vidi tredici
cascine andare in fiamme: tredici famiglie che avrebbero fatto la fame. Allora capii che
andare partigiano e fare la guerra a chi non aveva rispetto neppure del grano, non era poi
tanto sbagliato".
Qualche settimana dopo quei roghi, nella battaglia per la presa del castello di Pietragavina,
furono parecchi i contadini di Rossone a dar manforte ai partigiani con gli attrezzi più
rudimentali del loro lavoro.
Tratto da PAESI E GENTE DI QUASSU'
Storia - Vita - Arte - Bellezze dei 19 Paesi della Comunità Montana dell'Oltrepò Pavese
Edizione a cura del CENTRO CULTURALE "NUOVA PRESENZA" - Varzi 1979
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