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Associazione Culturale VARZI VIVA
Ognissanti nell'Alta Valle staffora
Luoghi e leggende lungo le Vie del Sale
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Gli autunni nell'Oltrepò sono molto suggestivi, specie sulle colline sopra Casteggio e Broni dove
efferve la vendemmia.
Forse essa non è più pittoresca come una volta, ma lo splendore dei filare è lo stesso di sempre:
un trionfo di ocra e di rosso.
Certo, nei paesi di fondo valle c'è spesso la nebbia ma, passati i 500 metri di altitudine l'aria
è più trasparente e le giornate di ottobre e di novembre sono spesso magnifiche.
Chissà se da quelle mura merlate le marchesine Selvaggia e Beatrice sospiravano al tramonto,
pensando ad Ugo di Saint Cir e ad Alberto di Sisteron, loro corteggiatori.
La leggenda vuole che quasi ogni sera, al crepuscolo, si radunino in Oramala gli spiriti della
famiglia che vi dimorò per ricordare gli antichi fasti di quando il castello era "corte d'amore".
Certo è che per i sentieri che vanno da Oramala a Sant'Alberto di Butrio (ora assai battuti dai
cercatori di tartufi e dai cacciatori), attraverso Pizzocorno e la Val di Nizza, è passata la
Storia, oltreché la Leggenda.
E' noto che Federico Barbarossa, sceso per la quarta volta in Italia nel 1166, dopo alterne
vicende, dovette riparare in Germania e lo fece con l'aiuto del marchese Obizzo Malaspina che
scortò l'imperatore attraverso i feudi montani sui quali dominava.
Tra i possedimenti dei Malaspina vi era anche Cella (ora Cella di Varzi), grazioso paese di
antica fondazione.
Già prima dell'anno 1000 e, precisamente nell'835, si trovano tracce dell'esistenza di tale
insediamento tra i beni del monastero di San Colombano di Bobbio.
In origine si trattava di una "obbedienza" (una sorta di succursale) del monastero; in seguito
divenne centro abitato e vi fu costruito il castello malaspiniano con lo scopo di sorvegliare i
crinali verso la vicina Val Curone, onde prevenire o sedare ribellioni o azioni armate dei
bellicosi vicini.
Tale fortificazione fu espugnata da Massimiliano Sforza nel XVI secolo, durante un'azione dei
Malaspina.
Ora Cella di Varzi (3 km da Fabbrica Curone) è una quieta località di mezza montagna, meta di un
turismo soprattutto religioso a seguito dell'edificazione, negli anni Cinquanta, del Tempio della
Fraternità, una chiesa assai singolare, costruita con materiali provenienti da tutto il mondo -
soprattutto reperti bellici - per ricordare l'orrore e le vittime della guerra e per indurre alla
riflessione circa l'assurdità dei conflitti armati e la necessità della Pace.
Ormai del Castello di Cella restano pochi ruderi che sovrastano il paese ma, raggiungendola
attraverso pendii boscosi e ripidi sentieri, come non pensare a Bernabò Malaspina che, nel 1514,
fu catturato dallo Sforza, tradotto a Voghera ed ivi squartato vivo il 20 settembre dello stesso
anno?
Chissà se la sua anima tormentata torna nottetempo a vagare per le rovine del castello? Non
sarebbe poi così strano.
Secondo le credenze popolari legate alla festività di Ognissanti e del 2 novembre, Giorno dei
Morti, i defunti tornerebbero per un giorno nelle loro case, riprendendo possesso dei loro spazi e
dei loro oggetti.
Per questo una volta si ci alzava presto la mattina del 2 novembre, per "lasciar posto" a coloro
che dovevano "tornare" e si mangiava "di magro" per penitenza e si pregava per i trapassati,
recitando il rosario in tre corone.
Tra gli anziani, c'è chi ricorda l'usanza dei "sis dei mort", i "ceci dei morti".
I ragazzetti uscivano di casa per andare all'Ufficio funebre nella Parrocchia, portando sotto
braccio un pentolino di rame.
Finita la funzione uscivano ed il parrocco apriva la porta della canonica e la perpetua
distribuiva i ceci fumanti, cotti nel brodo profumato di salvia.
La notte di Ognissanti, invece, era ritenuta notte di sortilegi essendo, secondo il calendario
esoterico, una delle occasioni in cui si celebrava il Grande Sabba (convegno di streghe e di
demoni in radure solitatarie, attorno ad alberi di quercia o di noce).
Poiché le forze del Male erano ritenute libere di agire sulla Terra, si sconsigliava di
avventurarsi per strada una volta che fosse buio.
Potevano infatti affiancarsi al viandante oscure presenze sotto forma di animali spaventosi o si
potevano udire grida inquietanti provenienti dai boschi o forse il lontano suono dei flauti ed
esserne ammaliati, perdendo per sempre la propria anima immortale.
A cura di Silvana Abbiati
OLTRE Anno V n. 29 Settembre-Ottobre 1994
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