Associazione Culturale VARZI VIVA
Museo della civiltà contadina
Fabbrica Curone (AL)




Fino ad alcuni decenni fa, in campagna si intrecciavano un’infinità di mestieri: contadini, boscaioli, fabbri, mugnai, maniscalchi, calzolai, muratori, fabbricanti di sedie e falegnami davano vita, tutti insieme, a una completa e complessa attività lavorativa che rendeva del tutto autonomo e indipendente ogni singolo villaggio.
Lo sviluppo industriale degli anni Cinquanta e Sessanta che ha portato al boom economico, spostando milioni di persone dalla campagna alla città, ha praticamente spazzato via tutti quei mestieri e ciò che ancora rimaneva della cultura contadina di un tempo. Le veglie nelle stalle, i canti serali sull’aia, il dialetto, gli usi paesani, la solennità di certe funzioni religiose, le processioni, la cucina tradizionale, la fragranza del pane cotto nel forno di casa, tutto è stato come cancellato nel giro di pochi decenni e ora rischiano di scomparire anche tutti quegli oggetti e strumenti che per quasi un millennio sono serviti ai nostri antenati per procurarsi e produrre il necessario di cui vivere o, meglio, di cui sopravvivere.
In un’epoca dominato dal mito della macchina e dell’automazione, è difficile rendersi conto della fatica e degli sforzi che il lavoro richiedeva quando veniva svolto con la sola forza delle braccia o con l’aiuto dei miseri attrezzi di cui l’uomo disponeva, attrezzi quasi tutti in legno, costruiti a mano in una varietà impressionante che sono stati inventati per necessità, con pazienza, perizia e soprattutto con fantasia straordinaria, in modo da alleviare una fatica dura e continua o migliorare il rendimento di una terra povera e avara.
Questi strumenti sono la testimonianza delle grandi fatiche e delle difficili condizioni di vita ai margini della miseria dei nostri padri e dei nostri nonni: una lotta continua di uomini e donne per garantirsi il pane quotidiano e la stessa sopravvivenza; una battaglia a volte impari contro un terreno arido e impervio, come il nostro, che, da sempre, ha costretto l’uomo a faticare moltissimo per produrre poi troppo poco.
Per migliaia di anni il mondo è stato contadino e dietro ogni ingranaggio, ogni attrezzo, c’è stato un uomo che la ha studiato, modellato, costruito e usato. “Provando e riprovando” è stato il motto di una grande Accademia scientifica, ma il povero contadino analfabeta che per secoli ha dovuto costruirsi da solo tutto ciò di cui necessitava, provava e riprovava fino a quando non trovava l’attrezzo che poteva aiutarlo a mitigare la grande fatica di tutti i giorni e a sopravvivere meglio.
Ora, con il sopravvento della macchina, nessuno ha più bisogno della mucca, del bue o del cavallo per trainare e mentre la vecchia madia, gli alari, i gioghi, i vecchi tavoli, le piattiere e le pentole in rame sono diventati oggetti d’antiquariato, nessuno richiede più aratri, erpici o sarchiatrici a trazione animale.
Mio padre raccontava che, bambino, doveva andare a castagne a piedi nudi schiacciando il riccio con la sola protezione della pelle callosa, e quando vedeva noi figlio sprecare troppe briciole ci ricordava che, per lui bambino, il pane bianco o, comunque, il pane a sazietà era considerato un miraggio. Sua mamma, vedova e con undici figli, doveva chiudere a chiave la madia con la polenta e il pane per evitare l’assalto, fuori dai pasti, della prole affamata.
Una paesana deceduta recentemente (Rita Bracco) raccontava che, da piccola, quando chiedeva alla mamma un uovo per colazione, si sentiva spesso rispondere che non era possibile in quanto doveva “fare la dozzina” per poter poi venderla e incassare qualche soldo indispensabile per gli acquisti. E qualche volta, quando l’uovo eccedeva la dozzina, la mamma ne permetteva il consumo, ma richiedeva la ripartizione almeno tra due fratelli che, in caso di disaccordo, ricorrevano al “pari e dispari” per l’assegnazione dell’albume e del tuorlo.
Ai giovani può sembrare un mondo di secoli fa, eppure sono passati pochi decenni da quando questi fatti erano una realtà quotidiana e gli attrezzi qui raccolti si usavano ogni giorno e regolavano la vita del mondo contadino. È un passato apparentemente lontano, ma sono ancora vivi molti di coloro che lo hanno vissuto; basta avere cinquant’anni per ricordare e riconoscere questi oggetti che si sono usati o che si sono visti usare quando si era bambini.
La Storia è storia di tutti gli uomini e ogni frammento del passato popolare che si perde è un pezzo della nostra storia che se ne va.
Oggi il movimento di ritorno al passato è in continua crescita; si cerca di ritrovare le radici della perduta civiltà contadina, si vogliono riscoprire i sapori della vita dei campi, i mestieri scomparsi e gli attrezzi non più in uso.
È proprio per conservare la memoria di un mondo e di una cultura in rapida via di estinzione che si è voluto creare questo museo; raccogliendo, con molta passione e paziente accuratezza, arnesi e strumenti che sono serviti a casa, nelle officine o sui campi, si è inteso lasciare alle future generazioni la testimonianza del limite di questi attrezzi, nonché della lenta evoluzione che ha caratterizzato la tecnologia rurale in tanti secoli in cui il lavoro agricolo è rimasto ancorato ai ritmi naturali del tempo, alla ripetitività e alla consuetudine.

Mauro Bracco