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Associazione Culturale VARZI VIVA
Villa Mangini
Vizi e virtù dal fine Settecento di Mirella Vilardi
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L'austera facciata dalle decorazioni ormai smarrite che dà su Via di
Dentro a Varzi inganna la fantasia di chi immagina che cosa si possa
scoprire al di là della soglia di questa antica dimora. E' guardandola
dal giardino che maggiormente essa rivela la sua essenza: sul manto
verde racchiuso tra file di pioppi che non ha cancellato le tracce del
campo da tennis si può ascoltare ancora l'eco del bel vivere, la luce
che invade la lunga veranda offre l'atmosfera ideale per lunghi
silenzi oziosi e i raccolti salotti la calda intimità per le lunghe
serate invernali.
La Villa Leveratto-Mangini (© Carlo Marenzi)
Un lungo cielo azzurro su sottili intrecci di archi, e qua e là fiori d'un marrone sbiadito,
copre, statico e leggero, il giardino d'inverno di villa Mangini.
Le vetrate sono ampie e trasparenti, la luce del sole vi entra tutta, nell'allegrezza del
mattino, nelle sfumature crepuscolari, nelle mille tinte smaglianti o smorzate delle stagioni.
I divani, i tessuti, le fantasie, invitano a molli chiacchierate, all'ozio creatore di pensieri,
a volgere lo sguardo, oltre i cristalli impalpabili, al minuscolo mondo di ramoscelli e fili
d'erba, di muschio e tronchi, di aiuole con piccole evanescenti chiazze rosse, e lilla, e gialle.
Più in là, dopo il giardino d'inverno e il giardino vero e proprio, circondati da secolari e
possenti pioppi, restano tracciati i campi da tennis che già negli anni Venti erano teatro di
scontri tra dilettanti e professionisti.
Un modo d'essere giardino alla maniera dei Finzi Contini.
Eppure, malgrado i sedili in pietra, il pergolato, la terrazza e la scalinata, riportino immagini
di indolente inattività e di diletto, il "Genius Loci" parla un'altra lingua.
Questa casa costruita nella seconda metà del 1700 abitata da sempre dalla famiglia Mangini,
racconta del suo percorso di scale e stanze, l'attività intensa di facoltosi proprietari
terrieri. Era avvocato Cesare che, trasferitosi nel borgo di Varzi dalla villa di Caposelva, fece
costruire il palazzo dall'austera facciata in via Di Dentro nell'attuale forma architettonica.
Benché a Varzi si sia sempre parlato di famiglia Mangini, casa Mangini, torre Mangini, numerosi
dubbi, indiscrezioni e confusioni, sono andate alimentandosi nel tempo circa l'appartenenza della
bella villa ai Leveratto.
L'attuale, ultima, erede, Franca Leveratto Mangini, supportata da carteggi d'archivio, così
spiega l'arcano: - "Nei primi anni del 1800, l'avvocato Francesco fu giudice a Borgosesia, nel
1821 ottenne il traserimento a Santa Giuletta e nel 1824 a Varzi. Dal suo matrimonio avvenuto nel
1822 con la contessa Teresa Gandolfi di Pietra Giorgi nacque una sola figlia, Maddalena, che
sposò il dottor Tommaso Leveratto di Novi, ottenendo di unire il proprio cognome Mangini a quello
del marito".
E così, oltre al legame dei cognomi, si ebbe l'unione dei patrimoni: alle proprietà di Caposelva,
Sagliano, Montemartino, Nivione, Torre degli Alberi, si aggiunsero i vasti possedimenti del
Leveratto nel novese.
E la casa, disposta su tre piani, narra la propria natura di abitazione patronale con profonde
radici nella terra. L'ultimo piano, ora vuoto, svolgeva la funzione di solaio riservato alle
derrate agricole, vi si custodivano il grano e la frutta, mentre nel rustico annesso vi erano un
tempo le stalle per i cavalli.
Oggetto di rimaneggiamenti da parte degli eredi che si sono succeduti e di saccheggi da parte di
ospiti indesiderati, l'interno custodisce ben pochi arredi testimoni dell'epoca.
Ma la struttura muraria in sé, mantiene una certa vita. I soffitti dipinti in tempi relativamente
moderni rimandano ad un indiscusso, raffinato, gusto del colore; lo scalone
rigoroso non nasconde la pretenziosità. Una pittoresca, ironica, messa in scena,
appare all'occhio distratto e superficiale.
Eppure, anche questa villa, benché privata, benché testimone di una sola famiglia, custodisce le
chiavi della storia e quindi della fantasia. E' la storia di uomini legati alla terra ed ai
suoi frutti, qui, nel cuore della città, ove il borgo può rivelare la sua anima più antica.
Continua Franca Mangini Leveratto: "anche se nelle varie generazioni vi furono avvocati, notai,
giudici, abati e parroci, dai numerosi atti di acquisto, contratti di affitto e mezzadria,
conteggi di annate agrarie, mi pare di poter dedurre che la vocazione della famiglia fosse
soprattutto quella di proprietari terrieri. Non mi risulta esser stati nella famiglia Mangini
personaggi di spicco in campo politico o altri. Penso che i Mangini si siano prevalentemente
occupati con molta competenza delle loro terre e furono certamente molto facoltosi, mio nonno
Francesco in particolare fu un noto enologo...".
A testimonianza di questa attività, sono custodite nella casa numerose medaglie e, accanto a
bottiglie invecchiate più di cent'anni, un cartello con la dicitura: "Medaglia d'oro
all'esposizione italo-americana del 1892". Le vigne si estendevano sulla collina del Crenna, in
ottimale posizione esposta a mezzogiorno, e la produzione raggiungeva gli ottocento ettolitri
annui.
La minuta signora dallo sguardo arguto, più di altri ha camminato nel mondo con lo sguardo
rivolto al passato, e non solo per indole. Le eredità sono un fardello spesso scomodo e può
succedere che su esili spalle poggi il peso di ben quattro cognomi altisonanti. Famiglie poco
prolifiche, per il comprensibile bisogno di continuità, erano costrette a legare due cognomi. Così
avvenne, come abbiamo visto, per i Mangini Leveratto. E Franca, quasi non bastasse la
responsabilità dell'essere ultima erede della stirpe, era andata in sposa ad un Mazza Galanti. Ne
deriva l'annosa confusione dei varzesi circa la villa Mangini Leveratto Mazza Galanti. Tuttavia,
quei passi nella storia, obbligati ed inevitabili per chi ha la responsabilità di testimoniare e
di far sopravvivere le memorie, sembrano aver dato maggior spessore alla vita di Franca. E'
salita sulla macchina del tempo e, da sempre, si è mossa all'ombra degli antenati eternamente
vivi.
"Se non posso menzionare personaggi illustri, posso invece ricordare molti atti di elargizioni
benefiche effettuati da vari membri della famiglia e di cui ho notizia in parte da documenti, in
parte per tradizione orale ( per ciò che riguarda le due ultime generazioni). Mio nonno Francesco
Leveratto Mangini non chiese la restituzione di molte somme prestate; suo fratello Stefano
esercitò per tutta la vita la professione di medico gratuitamente, fornendo anche i medicinali
alle famiglie più bisognose; mio padre Tommaso, che fu anche sindaco di Varzi, allestì a sue
spese un intero reparto dell'ospedale militare creato in Varzi nell'edificio delle scuole, atto
che gli valse un importante riconoscimento delle C.R.I.. Quanto a me, sto per firmare il rogito
di donazione al comune di Varzi dell'edificio detto "Il Casone" in via Di Dentro, datato 1200
come la torre, probabile residenza del corpo di guardia del borgo di Varzi. Donazione che farò a
ricordo della famiglia Leveratto Mangini che con me si estingue".
Passeranno, dunque, a chi succederà, le notizie e le vicende. E chissà se chi sarà riuscirà a
catturare, a immortalare, le impressioni del luogo, l'incantesimo, l'intimità, la felice
casualità degli oggetti. Allora si dovrebbe scrivere del profumo dell'uva stesa a passire nel
piano di sopra, del torchio delle noci di cui non c'è più traccia ma che sembra aver impregnato i
muri di effluvi remoti. Chissà se ci sarà chi troverà le giuste parole per cantare il vero tono,
la vera essenza di questa casa. E rendere ai posteri il suo nucleo ineffabile, la sua intensa
bellezza.
tratto da OLTRE N°41 Settembre-Ottobre 1996
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