Siamo in molti a provare un rimpianto indistinto e indeterminato per ciò che fu tra gli elementi protagonisti nello
scenario della nostra infanzia e che il pensiero spesso rievoca per restituirci momenti di felicità.
Alle ore 20 del 31 luglio 1966 compiva la sua ultima corsa il trenino della linea ferroviaria Voghera Varzi.
È questa una data molto importante per la nostra comunità, una data che segna, nella mente di ogni individuo
che ha vissuto quel periodo, una linea di ricordi legati a momenti della gioventù, dell'infanzia, ad avvenimenti che
ci appartengono al pari della nostalgia che scatenano.
La chiamerei la linea della memoria.
Siamo in molti a provare un rimpianto indistinto e indeterminato per ciò che fu tra gli elementi protagonisti nello
scenario della nostra infanzia e che il pensiero spesso rievoca per restituirci momenti di felicità.
Non possiamo dimenticare le carrozze verdi che da Varzi scendevano fino a Voghera attraverso una linea
azzurra che collegava il centro più grosso e vivace della valle Staffora alla città.
Questo segno nell'aria e nelle colline faceva sognare i ragazzi e non solo.
Attraversava piccoli ponti, si fermava presso stazioni che sembravano dei casolari fiabeschi e macinava
chilometri tra il verde o tra la neve, e durante le piogge primaverili dai finestrini sentivi l'odore dell'erba e della
terra bagnata dei campi.
Il tragitto era lungo, ma la familiarità dei passeggeri era indiscussa e festante.
Tutti si conoscevano, tutti si salutavano, tutti avevano da dire su tutti: il trenino della Voghera Varzi rappresentava
il giornale quotidiano, fatto di notizie, di avvenimenti, di commerci, di riflessioni di tutta una comunità, quella della
valle Staffora.
Era l'unico mezzo efficiente di trasporto, di comunicazione e di trasmissione delle idee, sia nei tempi felici
dell'anteguerra e del dopoguerra, sia nei tempi oscuri e turbinosi della seconda guerra mondiale e della lotta
civile.
In quel periodo sembrava che i colori di quel trenino fossero cambiati: la gente che lo frequentava era cambiata.
C'era il mercato nero, c'erano i primi nuclei partigiani che risalivano la valle per poi da Varzi andare ancora più
su e disperdersi nelle isole tra i monti del nostro Appennino.
La Voghera Varzi era un trasportatore triste ed infelice di armi, di razzie, di contrabbando, di ideali, di silenzio
impressionante e pauroso per questa valle.
Ha trasportato anche i "mongoli", ha visto il rastrellamento, ha sentito il grido delle donne stuprate, ha guardato
indifferente gli incendi dei casolari e dei paesini, la ritirata dei cecoslovacchi della brigata Matteotti, ha guardato
con stupore la libera Repubblica partigiana di Varzi, ha portato con sé le brigate nere della Repubblica di Salò.
I vagoni verdi, stinti per la paura, vedevano i carriaggi e le mitragliatrici che salivano e discendevano la nostra
valle, le bandiere erano differenti, gli emblemi altrettanto, le canzoni diverse, contrapposte, ma sempre
malinconiche e nostalgiche.
Però il trenino non ha neppure dimenticato le canzoni delle mondine della valle Staffora degli anni trenta, che
andavano a sudare in Lomellina per guadagnare pochi soldi, accompagnate dai loro caporali.
La stessa scena si è riproposta nell'immediato dopoguerra, con una speranza di rinascita e di cambiamento.
La locomotiva si ricorda sicuramente, negli anni Quaranta e negli anni Cinquanta, l'ultima corsa, in queste notti
oltrepadane, dell'una, quando riportava a Varzi o a Voghera i giovanotti che avevano ballato nelle balere
fantasiose dei nostri paesi e delle nostre valli: questa locomotiva è stata testimone di grandi amori, di profonde
delusioni, di solide famiglie.
Mi ricordo il racconto di un amico più vecchio, quando ragazzino, per motivi di salute, passava i classici quindici
giorni al Brallo. Era sempre ammalato e i professoroni di Pavia gli consigliavano l'aria polifonica, tra mari e
monti, del passo del Brallo. Prendeva il trenino e, mi racconta che, si sentiva andare verso una salute fisica e
mentale.
Immaginava dietro le piccole stazioni di Torrazza, di Rivanazzano, di San Ponzo, di Bagnaria, di Ponte Crenna,
paesi quasi svizzeri dai vivaci colori.
Le "grandi" stazioni, architettonicamente moderne e ancora dignitose di Voghera di Ponte Nizza, di Varzi, le
paragonava, nella sua immaginazione, alla centrale di Milano.
Ultimamente ha ripercorso il viale della stazione di Varzi e con profonda malinconia non è riuscito a ricostruire
quel bellissimo capolinea. Il viale è ancora bello, ma in fondo non c'è più niente, e il bel sogno è svanito.
La Voghera Varzi attraversando il ponte sullo Staffora e altri ponticelli per mezzo di linee ricurve e ritornanti ti
portava, meglio che non ora, con la troppo stretta via asfaltata, verso un altro mondo, di cui si può dire di tutto,
ma non che sia ancora oggi bellissimo come allora.
Corrado Guardamagna (© 2000)