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Associazione Culturale VARZI VIVA
Perchè Varzi Viva è anche un fatto politico
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Corre voce che certi personaggi o clan ultra padani facciano l'occhiolino alla nostra
Associazione, scorgendo in essa un potenziale serbatoio di voti in vista delle amministrative o
di altri appuntamenti elettorali. A questo fine le ronzerebbero attorno, come si circuisce una
bella signora di cui si sperano i favori, salvo poi a licenziarla, se non a sbeffeggiarla, a
conquista compiuta. Se tale diceria fosse fondata, costoro commetterebbero un grossolano errore
di valutazione, non solo perché la signora è notoriamente inespugnabile, ma anche e specie perché
i machiavellismi hanno le gambe corte, e non ingannano più nessuno, soprattutto in un'epoca e in
un paese totalmente disincantati della politica politicante. Tuttavia, poiché anche nell' errore
si può celare un grano di verità, i galoppini in questione hanno, involontariamente intravisto
una realtà profonda, e cioè che un'associazione come Varzi Viva è anche un fatto politico. Non
perché possa servire da trampolino a questa o quella ambizione, ma perché la cultura è
intrinsecamente un fatto politico, nel senso più nobile e alto della parola.
La classe al potere, che pretende essere l'élite del Paese ma in realtà si situa tra
l'avanspettacolo e la Mano Nera, ci ha fatto dimenticare che cos'era originariamente, o dovrebbe
essere idealmente, la politica: non lo sberleffo o l'inghippo, ma l'arte dignitosa del vivere
insieme, del rispettarsi, del cooperare, del progettare e costruire un mondo in cui sia bello
vivere, e che i nostri figli ci siano grati di ricevere in lascito, una volta che ce ne saremo
andati. Ora, il vivere insieme è essenzialmente cultura. So bene che "cultura" è una parola che
fa paura e allontana dal tempio i profani: coloro che non osano mettere piede dentro un museo o
una biblioteca, che si ritengono "ignoranti", che non si reputano "all'altezza", che scambiano la
cultura con la raffinatezza, se non addirittura con la mondanità e lo snobismo. Ebbene, Varzi
Viva si dirige anche a tutti coloro che provano queste paure, e dice loro che è tempo di darsi
pace e di riacquistare il diritto di cittadinanza. Certo, cultura è anche - è ancora -
l'attonito pellegrinaggio a Delfo per riudire la voce profetica del dio; è l'ammirare estatico le
tavole dell'Angelico, o lo scalare con meraviglia le piramidi Azteche, o il restare impavidamente
seduti sei ore di fila sui banchi ingrati di Bayreuth per ascoltare il Tristano... Insomma,
cultura è, certo, tutto ciò che ci fa riscoprire la grandezza della creatività umana, ciò che ci
separa della "natura", cioè dai dati primordiali, dal punto di partenza dell'avventura della
specie...
Ma la cultura è anche, se non più, la nostra compagna di ogni giorno, fatta di tante piccole
inezie che rendono la vita gradevole - "il bello dell'utile", come fu detto - e sono il frutto di
una genialità invisibile e sconosciuta dai più: la penna aerodinamica o l'orologio swatch, la
caffettiera spaziale o il tritacarne futurista, il telefonino o il televisore da fantascienza...
oggetti quotidiani trasfigurati dal "design", che rende esplicita la funzione e insieme ne
esalta l'intrinseca eleganza. È così che oggetti d'uso come la sedia di Gio' Ponti o la "Lettera"
di Olivetti, per non parlare delle mitiche carrozzerie di Ghia o di Pininfarina, diventano degni
di figurare in un museo - e difatti sono esposti al Guggenheim di New York ! Analogamente, fu
cultura, ieri o ieri l'altro, il ferro da cavallo o la borchia forgiati dal fabbro, lo stivale
confezionato dal mastro calzolaio, la cintura di cuoio intagliata dal pellaio, la brocca di
peltro plasmata dal vasaio... utensili fatti per servire ma anche per piacere, e in cui si
concentrava un sapere teorico e pratico, il gusto del lavoro ben fatto, la virtù della pazienza,
qualità tramandate silenziosamente attraverso le generazioni.
Per queste ragioni, la cultura del quotidiano non si limita al presente ma si apre
simultaneamente sulle porte del passato e del futuro, è memoria ed è anticipazione; e d'altra
parte, non riguarda solo l'uomo e le sue opere, ma abbraccia l'ambiente che lo ospita e nutre, e
della cui salvaguardia egli è ormai l'unico signore responsabile. La cultura come memoria.
Conoscenza del passato, non per rifugiarsi nostalgicamente in un mondo che non può ritornare, ma
per ritrovare le radici del presente, ciò che l'ha preceduto e preparato, per meglio conoscerlo,
capirlo, rispettarlo.
Ecco allora che la domanda culturale del varzese-vivo lo condurrà a restaurare la torre
Malaspina, per scoprirvi in esso non un ammasso di pietre mute e slabbrate, ma una pagina ancor
viva della nostra storia. Ma lo stesso bisogno di far rivivere il passato lo condurrà a
riscoprire le tradizioni dei nostri vecchi: come vivevano, come lavoravano, come vestivano,
cantavano e danzavano.... E lo spingerà a intraprendere la conservazione e la riabilitazione del
proprio dialetto: pubblicando, per esempio, l'ormai famoso calendario che permette di far
rivivere la nostra aspra parlata, ritrovando nei suoi aneddoti, nei suoi proverbi, nelle sue
ricette i sapori di una società rustica ma autentica, che sarebbe colpevole lasciar morire.
La cultura come gioia del presente, come fruizione signorile dell'esistenza. Guardarsi dall'idea
che la cultura si debba scrivere alla tedesca, con una k maiuscola, Kultur, e che sia
forzatamente noiosa e pedante. Riconoscere che è cultura non solo il pellegrinaggio in
disciplinata fila all'ultima mostra di Van Gogh, ma anche una bella scampagnata, il condividere
l'emozione di una musica o di uno spettacolo teatrale, e anche le arti della tavola e della
conversazione (non però la "mangiata" seguita da canti sguaiati e da barzellette di dubbio
gusto): ciò che i nostri padri del rinascimento chiamavano "galateo" (che era molto di più di uno
sfoggio di belle maniere o di moine), o addirittura "etichetta", cioè un etica minuscola,
applicata alle piccole cose. E allargando lo sguardo all'ambiente: fare cultura ridipingendo la
facciata della propria casa in modo che il colore del nostro intonaco non strida con quello del
vicino; non innalzare un traliccio o una baracca nel bel mezzo di una prospettiva, non abbattere
per noncuranza una vecchia fontana di pietra datata A.D. 1754; o, ancora, comporre una vetrina
(di frutta e verdura, di salumi, di scarpe o di tessuti) come un quadro di Cézanne o una
scenografia di Frigerio.... Infine, la cultura come anticipazione, come immagine di un futuro
desiderato. Luigi XIV di Francia è celebre anche per aver affermato: Après moi, le déluge! Questa
frase, il varzese-vivo deve ricordarla e citarla, ma a controsenso, perché è esattamente il
contrario di ciò che vogliamo. Perché fare cultura non vuol dire vivere in un miope presente ma
guardare lontano, sfidare l'immediatezza, lasciare alle generazioni che seguono non un universo
devastato dalla speculazione immobiliare, dall'incuria, dall'inquinamento, ma un paesaggio che
meriti, come quello toscano, di essere considerato la più bella invenzione dell'uomo.
La cultura è previsione e previdenza. In questa prospettiva, il varzese-vivo avrà cura che
l'ambiente urbano e naturale si sviluppi armoniosamente, coniugando le ragioni dell'economia con
le esigenze dell'estetica. Un detto popolare afferma che la musica ingentilisce i costumi. Ciò è
vero non solo per la musica, ma anche per l'ambiente in generale, tutto ciò che tocca tutti i
sensi: le forme e i colori, i suoni, i profumi... È ancor più vero in tempi che vedono
l'esplodere diffuso di ogni forma di aggressione, fisica ma anche verbale, sonora, visiva. Un
habitat armonioso agisce sull'umore della gente, la rende, senza che se ne accorga, più
sorridente più capace di vivere insieme, e ciò non per effetto di prediche o di comizi, ma grazie
ad un'azione sottile sulla sensibilità, sul gusto, sull'intelligenza. La cultura applicata
all'ambiente di vita è una diga contro la barbarie che perennemente minaccia di emergere dal
profondo di noi stessi. appare dunque che la cultura è anche politica, economia, educazione.
Politica, perché riguarda l'uomo nella sua totalità, in quanto individuo e in quanto membro di
una società; ma senza condividere, della politica attiva, l'ansia del successo immediato né
l'efficienza priva di scrupoli. Economia, perché anch'essa produce e trasforma, ma prodotti il
cui valore non sempre si misura coi criteri del mercato. Educazione, infine, perché anch'essa ha
bisogno di tempi lunghi, persegue obiettivi da raggiungere con tenacia, anche faticosamente,
grazie ad una somma invisibile di impegni anonimi e collettivi; ma, a differenza dell'istituzione
educativa per eccellenza - la scuola - non fa esami, non rilascia diplomi, ma solo l'intima
soddisfazione di vivere in armonia con sé e con gli altri.
Per tutte queste ragioni Varzi Viva non è da vendere, e neppure da affittare, ma resta aperta a
tutti coloro che condividono questi propositi e questi metodi, disinteressatamente,
generosamente, senza secondi fini.
Nino Chiappano
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