Associazione Culturale VARZI VIVA
Razza bovina varzese: una
biodiversità da salvare



Nella terminologia moderna l'espressione "specie in via d'estinzione" sta diventando purtroppo sempre più frequente. Quando la sentiamo, la nostra immaginazione corre, quasi per antonomasia, alle immagini esotiche di vaste foreste pluviali, di sterminate savane, di fiumi colossali nelle cui pieghe recondite animali e piante, alcune neanche mai scoperte, rischiano di sparire per sempre dalla faccia della terra. Immagini che ci turbano, sì, ma anche in fondo releghiamo ad un mondo lontano, ad una realtà sulla quale non possiamo agire direttamente, quindi facile anche da dimenticare nell'ovvio quotidiano.
In realtà, e forse pochi lo sospettano, il problema delle specie in via di estinzione e quindi della tutela e della salvaguardia delle biodiversità, è molto vicino ad ognuno di noi e ci coinvolge più o meno direttamente.
Lo ha messo bene in luce il censimento - denuncia pubblicato lo scorso novembre dalla FAO: il World List for Domestic Animal Diversity, in cui sono elencate, suddivise per Paese, le razze domestiche estinte o in via di estinzione.

Bovini di razza Varzese-Ottonese

Nella sola Italia sono più di 50 le razze di animali domestici che rischiano di sparire definitivamente: capre, asini, maiali, cavalli, galline e mucche, ognuna con il suo bravo, irripetibile corredo genetico e quel che più conta, con un bel pezzetto di storia patria. Queste razze, cosiddette minori, sono, nella loro notevole varietà, espressione della complessità del panorama agricolo italiano, unico, credo, nella sua variegata diversità di situazioni, di climi, di terreni, di erbe, di grani, di acqua e di sole, di storia e tradizioni. Una certa mania italiana di imitazione dei beni altrui, un disprezzo che io trovo sconcertante dei beni nati dalla nostra sperimentazione vuoi empirica, vuoi scientifica, quasi non ci ritenessimo all'altezza ha portato dal dopoguerra in avanti alla sostituzione sistematica delle razze locali con razze spesso nate in realtà lontane da noi.
Certo l'agricoltura deve pur infine "fare bilancio", ma non è sempre così scontato che la sostituzione sia vincente. Lo può essere là dove le condizioni ambientali non sono un limite, ma se abbandoniamo le zone più fertili, là dove l'ambiente inizia a dettare rigide leggi, sicuramente la razza nata e selezionata con quei limiti, avrà possibilità maggiori, aiutata oggi da migliori condizioni di alimentazioni, e di vita in generale.
Alla ricerca della FAO non è rimasta estranea la provincia di Pavia e in particolare la zona di montagna: tra le razze bovine ormai al limite dell'estinzione c'è infatti anche la razza Varzese, detta in zona anche Montanina, Cabellotta, Bionda Tortonese e Ottonese, nelle sue diverse varianti, ma tutte discendenti dal ceppo delle razze iberiche a mantello fromentino. Pare che le prime Varzesi siano arrivate in Italia al seguito di Annibale.
Di taglia modesta, leggera di ossa, biondo fromentino il mantello, curve a lira le corna, la Varzese è, o forse dobbiamo dire era, una razza frugale, rustica, usata sia per il latte, che per la carne che per il lavoro, in un'agricoltura in cui ognuno doveva dare tutte le risorse che aveva.
I buoi venivano aggiogati alle slitte, ai carri, all'aratro, le vacche erano munte all'alba, e poi mandate al pascolo fino al tramonto, affidate alla cure dei "vacà", i bambini più piccoli, che andavano così, da soli, per i prati non per avere una paga, ma per essere vestiti e mangiare. Incrociata con la Reggiana, per aumentare la resa, la Varzese perse col tempo un po' del suo aspetto antico, ma neanche questo bastò a salvarla: la scarsa attenzione dell'Ente pubblico, la pressione dei commercianti, il desiderio legittimo di aumentare i redditi ha portato la Varzese ad un progressivo tracollo, fino alla consistenza odierna pari ormai a circa 50 capi nel pavese. Negli ultimi anni si era cercato ancora di avviare un piano di recupero della razza, ma evidentemente la Varzese non ha molti santi in Paradiso. Anzi molti si sono chiesti perché bisognava salvarla, visto che è così "poco dotata", ma sì via, diciamolo pure, così "bruttina".
Ci sono almeno due ragioni valide e incontestabili per salvare questa razza, e sono le medesime ragioni valide per salvare tutte le razze locali degli animali domestici. La prima è una ragione squisitamente scientifica: la salvaguardia delle razze autoctone è un dovere e una responsabilità nei confronti delle generazioni future, poiché tali razze costituiscono un patrimonio genetico irripetibile, in quanto fonte di variabilità, presupposto irrinunciabile per nuove selezioni, a fronte di mutamenti ambientali che noi oggi forse non possiamo prevedere e che potrebbero comunque verificarsi.
La seconda ragione potremmo definirla "sociale", forse "socio - economica", comunque altrettanto valida e irrinunciabile, soprattutto perché necessita di una presa di coscienza e di un atto di consapevolezza della storia e della dignità che è nella storia delle popolazioni "minori". Nel recupero e nella valorizzazione delle razze locali l'agricoltore vede un riconoscimento indiretto anche della sua propria cultura, delle sue tradizioni. Comprende, così, che non sempre il modello dei grandi numeri, delle aree forti è valido e si riappropria della sua storia e della sua dignità.
È inoltre dimostrato che sono numerosi i casi di aree agricole carenti nelle quali una produzione agricola animale sopravvive in funzione della razza - popolazione autoctona migliorata, mentre in altre zone, nelle quali si è voluto inserire razze specializzate, la non riuscita delle medesime ha comportato la scomparsa di ogni tipo di produzione animale. Quando si sente parlare di razze in via d'estinzione, non c'è bisogno di pensare alla lontana Amazzonia, basta alzare gli occhi alle colline dell'Oltrepò.

Concetta Pugliese
Oltre N°29 Settembre/Ottobre 1994 (pag. 63)